1. November 2009

Über Achternbusch


Riporto la parte finale di un articolo di Katja Nicodemus uscito sulla «Zeit» di giovedì 24 settembre 2009. Il pezzo è apparso in una doppia pagina dedicata agli anarchici e ai Querdenker della Germania di oggi. Nicodemus si concentra sulla settima arte e cita il buon vecchio Herbert insieme a quel furbastro di Bruce La Bruce, con particolare attenzione alla sua discreta parodia frocia della RAF The Raspberry Reich (2004).

Di seguito, traduco la colonna che si occupa di Herbert:

"La sua critica al cattolicesimo più bigotto spinta fino all'assurdo, il suo grufolare nella palude dei sensi di colpa tedeschi, il suo infiltrarsi nel folklore mainstream bavarese sortiscono un effetto, a prescindere dal DNA anarchico del periodo in cui vennero condotti, ancora più radicale, e vengono ulteriormente rinforzati da una narrazione senza tempo, laconica, quasi documentaristica. Il canale ZDF censurò la seguente frase in occasione della messa in onda del suo film Der Kommantsche, nel 1976: "Hitler voleva consolare Dio con sei milioni di ebrei, ma c'è stato un grosso malinteso". In Wohin? Achternbusch se la prende con l'isteria da Aids degli anni Ottanta e fa monologare Kurt Raab, HIV-positivo, in un Biergarten. Tema: la sua malattia. L'eroe di Das Letze Loch vuole dimenticare l'Olocausto in questo modo: bevendosi un bicchierino per ognuno dei sei milioni di ebrei uccisi. E alla fine di Der Depp Achternbusch fa avvelenare Franz Joseph Strauß [celebre e potentissimo leader della CSU, la branca bavarese della CDU] nella birreria Hofbräuhaus di Monaco. Nel suo film più stravolgente, Bierkampf, il regista eleva il vero Oktoberfest a metafora della vita stessa e del mondo intero. Dice il personaggio di Sepp, da lui interpretato: "Sapete, c'ho riflettuto a lungo: il mondo non è ancora stato salvato da nessuno. Non può essere salvo, perché non esiste ancora. Non è proprio niente di niente, il mondo". Così facendo Herbert Achternbusch ci regala un cinema che al di là dell'impianto sovversivo coltiva sempre un'utopia o almeno il suo grado zero, la disperata nostalgia del giorno successivo alla catastrofe".